Il 9 febbraio verrà discussa presso il Consiglio europea la revisione della c.d. Direttiva EPDB (Energy Performance of Building Directive), comunemente denominata direttiva casa green. L’obiettivo previsto dalla direttiva è realizzare nuovi edifici a zero emissioni dal 2030 e standard minimi (e comuni) di rendimento energetico per la ristrutturazione degli edifici esistenti in Europa. Un traguardo molto ambiziso, ma difficilmente raggiungibile, sopratutto per alcune nazioni come Grecia e Italia, che hanno un patrimonio immobiliare vetusto.
Infatti, secondo le stime dell’UE, basate sulla proposta della Commissione Ue, per l’Italia potrebbe significare dover ristrutturare al massimo tra 3,1 e i 3,7 milioni di edifici residenziali entro il 2033, degli oltre 12 milioni totali.
Andando nel dettaglio: secondo la proposta avanzata da Bruxelles si propone di inserire nella classe G, il 15% degli edifici con le prestazioni peggiori, tradotto in numeri nel caso italiano, questa classe si applicherebbe al 15% dei 12,2 milioni di edifici residenziali presenti in Italia, dunque circa 1,8 milioni di case e palazzi.
Inoltre vi è un altro problema: chi pagherà le ristrutturazioni? Visto che la Commissione Ue non ha previsto un fondo specifico? Per viene previsto che gli Stati membri mettano a punto dei piani nazionali di ristrutturazione degli edifici, che saranno poi integrati in quelli nazionali di energia e clima (Pnec) in cui stabilire una roadmap con specifiche scadenze per raggiungere classi di rendimento energetico più elevate in linea con il loro percorso verso le emissioni zero al 2050.