Una recente analisi condotta da CRIF, leader nel settore dei servizi di informazioni creditizie, ha messo in luce le conseguenze dell’innalzamento dei tassi di interesse sui mutui a tasso variabile. Utilizzando i dati del Sistema di informazioni creditizie Eurisc, lo studio ha rivelato che al gennaio 2022, il 26% dei mutui ipotecari attivi in Italia era a tasso variabile. L’impatto più evidente dell’aumento dei tassi è stato registrato su tali mutui, con un incremento medio della rata del 36% rispetto ai valori minimi registrati a metà 2022. Per i mutui concessi negli ultimi cinque anni, l’incremento ha toccato un picco del 49%.
L’aumento delle rate ha inevitabilmente influenzato l’esposizione finanziaria dei mutuatari. Nonostante il pagamento di 24 rate nel periodo tra gennaio 2022 e dicembre 2023, l’analisi CRIF ha evidenziato un aumento del 25% nel livello complessivo di indebitamento per coloro che hanno sottoscritto un mutuo a tasso variabile negli ultimi cinque anni. Ciò ha portato a un significativo peggioramento del rapporto tra la rata del mutuo e il reddito disponibile, che in media si è aggravato di 8 punti percentuali dai minimi di metà 2022, arrivando fino a 10 punti percentuali per i mutui concessi nell’ultima cinquina.
Contrariamente a quanto si potrebbe attendere, l’aumento dei tassi di interesse non ha comportato un incremento del tasso di insolvenza tra i titolari di mutui a tasso variabile. Tuttavia, CRIF ha registrato un peggioramento dell’indice di tensione finanziaria, un parametro sviluppato dall’azienda per identificare situazioni di eccessivo indebitamento e prevenire possibili crisi finanziarie. In particolare, si è osservato uno spostamento significativo, oltre 15 punti percentuali, dalle classi di rischio più basse a quelle di livello medio-alto e alto, indicando un aumento della pressione finanziaria per questi mutuatari.